REFLECTING
Il Reflector
Nel campo delle psicoterapie sono avvenuti grandi mutamenti. Complessi sistemi di pensiero sono stati ridotti e piegati sostanzialmente a due strategie: i modelli empiristi che pretendono di essere anche euristici e produttori di teoria, e i modelli razionalisti che si vogliono discendenti dalla pratica e dalla sperimentazione. L'incertezza creata da tale situazione aumenta e si tinge di imbarazzo se prendiamo a riferimento i cosiddetti "modelli" comportamentista, cognitivista, psicodinamico o della terza forza, considerati un'alternativa tra la psicologia oggettivistica, comportamentista e il freudismo ortodosso, "un nuovo modo di percepire e pensare […] una psicologia non puramente descrittiva o accademica che suggerisce l'azione e implica certe conseguenze […]" (Maslow, 1971). Un modo che, tuttavia, non trascura l'affannarsi a seriare e fissare con aggettivi numerali ordinali la propria posizione rispetto a tutte le altre correnti di pensiero, alle vecchie e nuove matrici di studio e di ricerca, obbligate così a distinguersi con altri e diversi aggettivi numerali ordinali.
Anche gli ingredienti della miscela terapeutica sono cambiati, sia sul piano tecnico sia su quello teorico, ma il problema non è di autoassegnarsi una posizione nell'ambito sconfinato degli interventi d'aiuto, bensì di chiedersi se non si sia ancora intrappolati nell'incertezza del distinguere tra episteme e doxa, tra conoscenza certa e opinione. In generale, comunque, nonostante i diversi percorsi, si è orientati ad aiutare le persone a conoscere meglio se stesse, a vedersi nello specchio delle proprie menti, a esaminare la vita in modo più completo e profondo, fino a giungere alla propria autonomia, all'accrescimento personale. Ma quale via bisogna seguire per agevolare effettivamente nell'altro il raggiungimento di questi obiettivi?
Da qualche tempo assistiamo al proliferare di criteri terapeutici che si avvalgono di forme strutturate, di progetti, di spartiti, per insegnare a curare la persona, considerati in qualche modo sempre strategici ma, sui quali quest'ultima deve organizzare il proprio schema di vita. Si tratta di apprendimenti guidati che vedono l'operatore come servus, come colui che si propone al "malato" e perciò al "paziente", con un: "Lasciati servire", nell'intento di plasmarne la vita, di trovare per lui un orientamento, una direzione. Tentativi di riabilitare l'uomo troppo spesso sviliti a mera tecnica d'intervento.
Sono molti i terapeuti convinti di possedere le risposte giuste per incoraggiare e dare consigli, per indirizzare in modo adeguato gli altri, interpretare per loro, capire quindi e risolvere i loro i disagi. Addirittura qualcuno è talmente convinto del suo essere Maestro, da dichiarare che la propria metodologia è "l'unica vera e idonea risposta da offrire ai pazienti e ai loro appelli talora disperati".
In troppi credono ancora che per "curare" o "aiutare" si debba condurre l'uomo secondo questa o quella teoria della personalità o secondo i principi della consulenza, dell'incoraggiamento e del consiglio, suffragati dalla parola che in tal modo assume il valore di farmaco. Costoro evidentemente ignorano perfino di ciò che dice la terza legge di Chisholm: "Le proposte sono sempre capite dagli altri in maniera diversa da come le concepisce chi le fa". Forse è proprio in ragione di questa ignoranza che nell'intervento terapeutico utilizzano la parola come orientamento e guida. La usano per conoscere l'altro, per sapere dall'altro, per liberarlo, per guidarlo.
Lasciare che la terapia abbia come protagonista la parola non può soddisfare il principio della metafora kohutiana del semicerchio dell'aratro di Ulisse che, opponendosi alla visione pessimistica dell'uomo contenuta nella tragedia di Edipo, ci mostra la possibilità che ogni persona ha di salvaguardare la propria integrità psicologica, la gioiosa consapevolezza di sé.
La parola-farmaco, gli intenti di condurre, di plasmare e consigliare l'altro, sono componenti strutturali dei vari principi di sovranità terapeutica che sottovalutano perfino ciò che diceva Cleobulo: "Ascoltare è meglio che parlare molto", nonché il motto: "Non mi dare consigli so sbagliare anche da solo".
Il problema è: si può appagare il bisogno che la persona ha di fare un'esperienza interiore, sviluppare una profonda comprensione di se stessa, della sua coscienza e della padronanza di sé, destare e organizzare l'azione della volontà, agevolare lo slancio vitale, dominare le circostanze, vincere gli ostacoli e promuovere l'armonia, senza che l'operatore sia servus?
Ma oltre a questo ci dobbiamo chiedere se la cura debba consistere nel suggerire al paziente ciò che è scritto su di un copione autentico che il terapeuta porta con sé, nel disporre di un modello teorico di riferimento così da poterlo trasferire alla persona, nell'interpretare i racconti come fanno il critico letterario e quello d'arte, nello smascherare l'interlocutore con il contrapporre l'oggettiva realtà al reale, o nel cercare di socializzare il soggetto alla visione del mondo dell'operatore.
A questi interrogativi viene in soccorso il metodo reflecting, che studia come aiutare l'individuo a riflettere su di sé, sul proprio essere e sul proprio esistere, utilizzando prevalentemente le proprie risorse personali. Il reflecting, come afferma Simone Pesci.
[…] È un modo di porsi di fronte all'altro per potergli dare gli strumenti adatti alla riflessione […] non dà risposte, aiuta a riflettere. [...] Un metodo sostenuto da ricerche, osservazioni e deduzioni teoriche, confermate dalla verifica di quanto ogni persona abbia in sé quella riserva di forze meravigliose e di sopite energie, che aspettano di essere rintracciate e lette per fluire e circolare nei propri pensieri, per fecondarli nelle proprie azioni fino a farle diventare realtà (Pesci S., 2002)
L'uomo possiede le forze necessarie per superare lo stato di inerzia psichica, per destarsi positivamente alla vita, per soddisfare quel desiderio di vivere che è essenzialmente desiderio di felicità.
Il reflecting riconosce nell'essere umano una qualità in essere che può progredire e per questo vuole aiutarlo, agevolarlo nell'attingere alla fonte viva di significati e di risorse che ha in sé, destare la sua personalità, affinché possa acquisire un adeguato stile relazionale e comunicativo.
Tale metodo poggia su solide fondamenta epistemologiche, su importanti basi filosofiche, su provati risultati operativi e sull'interazione rispettosa della persona e del significato positivo di quel processo di pensieri che consente la riflessione fino alla coscienza di sé.
Una modalità di aiuto rivolta alla persona, affinché si possa muovere lungo un percorso di conoscenza e consapevolezza di sé; un percorso durante il quale la persona viene aiutata a maturare autonomamente nella propria interiorità, con sollecitazioni che le permettano di vincere gli ostacoli e promuovere l'armonia (Pesci, Pesci, Viviani, 2003).
Il reflecting si basa sul principio che si può giungere a una comprensione profonda di se stessi solamente per mezzo della riflessione, un'esperienza che è possibile agevolare se riusciamo a promuovere un rapporto interpersonale con il suffragio di una comunicazione che va oltre i frammenti, le elegie della parola o del gesto, per trovare nella semiotica il valore di tutti quei linguaggi che sostanziano il comunicare, l'essere o lo stare in relazione.
Per rintracciare queste forze psichiche e poterle utilizzare, occorre conoscersi, servirsi dei mezzi che si possiedono, per difendersi e conquistare il dominio sulle circostanze ambientali, non esserne schiavi o, come spesso accade, anche vittime. L'abilità nella riflessione, arte nobilissima del pensare, consente alla persona di scegliere i propri pensieri e farne ciò che il Fouillé chiama idee-forza, idonee ad accrescere e organizzare con intensità e utilità l'azione del proprio volere. Essa deve poter conquistare da sola il cosciente possesso di sé, per riuscire a reggere il timone in mano e imparare a orientare la barca sul mare mosso della vita tra scogliere palesi o nascoste, tra banchi di sabbia, gorghi traditori e correnti contrarie.
Chi diventa padrone di sé, chi riesce a tenere in mano le redini della propria volontà, vince molti ostacoli, domina molte situazioni, supera difficoltà che altrimenti lo annienterebbero, ma per giungere a questo, occorre saper riflettere, ovvero faticare, scavare, scegliere e finalmente destare, sviluppare e organizzare l'azione della volontà cosciente di sé e acquisire serenità.
Quando il soggetto ha individuato le cause degli effetti che vede in sé e misura le proprie forze in relazione con quelle che gli si oppongono, può camminare senza paura. Solo dopo aver focalizzato l'origine dei propri disagi può trovare i mezzi per porvi rimedio. Egli deve saper adoperare le energie che giacciono nell'interiorità dove nessun altro può accedere e giungere a dare figurazione al disegno eletto dalla propria conoscenza e dal proprio volere.
Il suo compito consiste nel riuscire a conversare con se stesso scendendo il più profondamente possibile nell'oscurità, nell'accedere alle informazioni inconsce e riconoscere il Sé. Quanto più sta con se stesso a un livello più profondo, tanto più potrà sentir affiorare una sensazione di libertà e di equilibrio.
Deve essere capace di leggere i propri tumulti interiori, distinguerli e identificarli, interrogarsi sulle abitudini, sul modo di investire il proprio tempo e la propria energia, sulla resistenza alle sollecitazioni negative, sulle percezioni di fallimento e di equilibri infranti, sulle perdite di privilegi...
Il reflecting aiuta l'uomo a trovare e utilizzare la chiave del suo giardino segreto ove, senza il suo consenso, niente e nessuno ha il diritto di accesso.
Esistere è vivere ciò che è dentro di noi, com'è sostenuto nei Proverbi: "Bevi l'acqua della tua cisterna e la polla che sgorga dal tuo pozzo" (5, 15).
L'essere umano è un patrimonio immenso di risorse e può essere genitore di se stesso fondatore di criteri auto-poiesici, in cui volontà e creatività si fondono e si integrano alle possibilità e alle molteplici forze che sono presenti in lui e che lo possono sostenere.
La riflessione, nel procedere all'analisi dell'intimo santuario dell'anima, nel raccogliere le idee, meditarle, circondarle di attenzioni, fecondarle positivamente, sì che esse si traducano in realtà positivizzanti, può essere favorita dal reflector. Questi stimola la persona ad avvertire in sé le contraddizioni, la consapevolezza delle motivazioni che determinano le scelte, a maturare autonomamente e raggiungere nuovi equilibri. Agevola questa ri-creazione interiore, instaura un rapporto interpersonale nell'ambito del quale favorisce le facoltà riflessive con ogni mezzo espressivo comunicazionale, senza intrusione, affinché il soggetto possa muovere alla riconquista di un terreno prezioso su cui camminare sicuro.
(Per un approfondimento cfr. G. Pesci, Il metodo reflecting, in S. Pesci, Manuale di Reflecting, Magi Edizioni, Roma 2005).
(Tratto dal portale della Società di Internazionale di Reflecting - www.reflecting.it)